lunedì 1 luglio 2013

Brasile: cosa sta succedendo? Sentiamo cosa ne pensano gli esperti

STRALCI DI OPINIONI TRA LE PIU' AUTOREVOLI USCITE DURANTE LE PROTESTE

Da giorni ormai i titoli dei giornali del mondo si concentrano sulle clamorose, quanto inaspettate, manifestazioni di piazza che hanno sconvolto le principali città del Brasile ed hanno visto confluire in strada veri fiumi di persone di varie età ed estrazioni sociali, talora sconfinando in un clima di violenza. L’origine di tale esplosione di proteste, in apparente contrasto con l'immagine diffusa di uno tra i pochi Paesi Emergenti, è stata messa al vaglio di possibili interpretazioni affidate ad esperti.
II diario portoghese ha curiosato tra le varie opinioni emerse sulla stampa internazionale riguardo alle proteste e ne ha selezionato alcuni stralci da riproporre ai suoi lettori. Tra le più autorevoli, quella di Boaventura de Sousa Santos, docente di sociologia del diritto all’università di Yale e ordinario di sociologia all’Università di Coimbra in Portogallo, figura caratterizzata dalla vicinanza agli organizzatori del Fórum Social Mundial, pubblicata sul sito del Fórum e rilanciata a pioggia in rete.


“Le manifestazioni- afferma tra l’altro de Sousa Santos- rivelano che, più che il Paese, è stata la presidente a svegliarsi. Con lo sguardo rivolto agli avvenimenti internazionali e anche alle elezioni presidenziali del 2014, la presidente Dilma ha ben chiaro che le risposte repressive servono solo ad acuire i conflitti e a isolare i governi. In questo senso, i sindaci di nove capitali hanno già deciso di abbassare il prezzo dei trasporti. E' solo un inizio. Perché sia consistente, è necessario che le due narrazioni (democrazia partecipativa e inclusione sociale interculturale) ritrovino il dinamismo. Se così sarà, il Brasile -conclude- mostrerà al mondo che vale la pena pagare il prezzo del progresso solo se si approfondisce la democrazia, si distribuisce la ricchezza prodotta e si riconosce la differenza culturale e politica di coloro che considerano arretratezza un progresso senza dignità.”
Per Lúcio Flávio Rodrigues de Almeida, docente di sociologia all’Università Cattolica di São Paulo intervistato dal Guardian, “finora le autorità hanno risposto solo con la repressione alle proteste, che sono frutto di un movimento autorganizzato che non fa capo a nessun partito e che è stato rafforzato dagli episodi di violenza indiscriminata messi in atto dalla polizia nei giorni scorsi. La forte repressione, soprattutto a São Paulo- secondo il sociologo- ha rafforzato il movimento e ha creato una forma di sostegno da parte dell’opinione pubblica per una protesta che ha semplicemente comparato i costi della Confederations cup e dei Mondiali con gli investimenti nei trasporti e negli altri servizi.”

Ricardo Antunes, docente di sociologia all’Università Estadual di Campinas (Unicamp), in un articolo apparso su Folha de S.Paulo dall’emblematico titolo “Fim da letargia”, osserva tra l’altro: “I brasiliani hanno capito che dietro il mito pericoloso della nuova classe media e della crescita economica, c’è la vita reale dei lavoratori che è ancora molto difficile: sanità e istruzione non hanno risorse economiche, i trasporti sono costosi e fatiscenti, le città malsane, trafficate e violente”.
Marcelo Alencar (professore di storia, deputato federale del Psol dal 2005 e parlamentare del Pt a partire dal 1989, oltreché marxista cattolico, legato alla Teologia della Liberazione), intervistato da Heitor De Figuereido per Il Manifesto, ha detto: “ Siamo in un momento in cui la protesta è generalizzata nel condannare la corruzione. È una protesta inter-classista con forti componenti organizzate anti-capitaliste che vogliono trasparenza e partecipazione proprio per evitare che lo stato diventi un balção de negocios , cioè un locale per affari tra amici”.
Sul fondamentale ruolo giocato dai social media nelle manifestazioni interviene il noto giornalista e blogger brasiliano Leonardo Sakamoto, come sempre monitorato da "Voci Globali" de La Stampa.it che ne riporta le seguenti considerazioni: "I politici tradizionali faticano a comprendere il modo in cui i movimenti usano strumenti come Twitter e Facebook. Credono che si tratti esclusivamente di spazi per farsi pubblicità o un modo per divulgare informazioni agli elettori. C’è anche chi crede che i social network siano delle entità a sé, non delle piattaforme su cui fare politica, dove le voci di dissenso guadagnano terreno, dal momento che non sono filtrate dai mezzi tradizionali di comunicazione sociale. Il potere dei rappresentanti, in termini di partiti, sindacati, associazioni e simili sta diminuendo, mentre aumenta di conseguenza l’azione diretta dei cittadini, in qualità di architetti della propria realtà politica".

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